Traversata del Monte Bianco

Ci sono desideri che insegui per tanto tempo, li studi, cerchi la persona adatta con cui pianificarli e condividerli. La vetta del Monte Bianco è un desiderio accarezzato da sempre. I 40 anni sono una tragedia esistenziale, che realizza in modo plastico la velocità delle lancette del tempo,  figurarsi poi, quando ti avvicini ai 50. Non c’è tempo da perdere, mi dico io. Essendo semplicemente un grande appassionato di montagna, buon esperto di cose classiche, trekking, ferrate, e non certo di arrampicata, altissime quote e ghiacciai, non è semplice realizzare i propri sogni alpinistici. Io però lo volevo fortemente, le motivazioni erano altissime, ed ho cercato di allenarmi per quanto possibile, con questo sogno nel cassetto. Nello stesso tempo, ho cercato una guida alpina che mi ispirasse fiducia. Non volevo semplicemente “Uno” che mi fornisse una prestazione lavorativa, volevo un esperto che condividesse la gioia, che cerca di realizzare chi poi deve accompagnare. Dopo molte ricerche, mi sono imbattuto in Andrea Basso. Mi ha colpito la storia che racconta di se nel suo sito web, mi attirava la forte motivazione che lo ha spinto, lui che ha una importante laurea, a fare questo lavoro. Ho sentito che era la persona che cercavo. Quando l’ho chiamato, non mi detto ti porto sul Bianco, chiarendo semplicemente i termini del possibile accordo, ha fatto quello che per me, deve fare una guida alpina, ha voluto sapere quale fosse la mia esperienza, ha voluto cioè assicurarsi, di potere svolgere bene il proprio lavoro, per garantire quindi la soddisfazione e la sicurezza del proprio potenziale cliente. Con lui per conoscerci e lui per conoscermi e vedere come andavo, sono andato il 15 e 16 luglio del 2017 sul Gran Paradiso, aggregandomi ad una delle proposte per gruppi che organizza annualmente Andrea.  Questa sintonia e altri particolari, hanno costruito la fiducia che cercavo, e reso ancora più forte la mia determinazione e voglia di realizzare la mia personale impresa.  Dal 2 al 4 Agosto 2017 è programmato il tentativo di salita al Monte Bianco, per la via francese; mi affido ad Andrea per i dettagli. Pernottamento al rifugio Goûter, rifugio avveniristico, a 3835 mt, che sembra una stazione spaziale.  Non è semplice prenotare, perché c’è tanta richiesta,  poi una volta prenotato devi avere “culo” per avere in quei giorni una finestra di tempo buona, altrimenti “ciao ciao” al tentativo, e tanti saluti al costo rifugio. Un po’ di preoccupazione in questa “Via” è poi il famigerato è famoso “corridoio della morte”, un attraversamento facile, dove però tutto quello che ti sta sopra è instabile, e franando, spesso, ha causato guai fatali agli sventurati alpinisti. Andrea studia tutto, per attraversarlo con la luce, potendo guardare chi sale sopra di noi e quindi nel momento più sicuro per controllare scariche di sassi. Due notti al  Goûter e stando alle previsioni il tempo sarà bello, abbiamo fortuna. Passiamo la notte del 2 agosto in posizione fantastica, sul ghiacciaio e con un panorama sublime. Il 3 Agosto sveglia alle due per la colazione e poi per partire alle tre verso la vetta. Vento pazzesco, ma saliamo. Dicono che in mattinata si farà bello. Col cavolo! Arriviamo a 4400 metri al bivacco Vallot, con un freddo cane e infreddoliti, poi entriamo in questa scatola di sardine per alpinisti, che è tutta piena. Che si fa? Si sale ovviamente, il tempo deve volgere al bello, continuiamo a salire!  Andrea conosce il mio desiderio, arriviamo sulla cresta delle Bosses circa sui 4600 mt, non si vede una cippa, vento fortissimo a spostarti di lato, nebbia e gelo! Ciglia congelate, naso e gola che sento ghiacciate, un velo di almeno 3 mm di ghiaccio sui bastoncini e sul guscio!  Andrea giustamente decide che è ora di fare retromarcia. Il dispiacere è tanto ma la scelta è giusta. La pelle prima di tutto, inoltre freddo a parte, se non vedi nulla e quindi non vedi se sei al porto di Cesenatico o sul Monte Bianco, che senso ha? Si torna al rifugio Goûter, ma durante il ritorno in testa mi frulla una domanda: “Marcello, come stai messo a gambe? Bene! … Dunque riformulo una domanda ad alta voce: “Andrea, possiamo riprovarci?” E lui: va bene! ….. E vai!!! Il giorno dopo, 4 agosto, altra storia. Sempre partenza alle 3, è buio pesto, ma il tempo è bello, si vedono le stelle! Poi sulle 5 le luci dell’aurora, da lassù, così in alto e con l’aria tersa, ….  si prova una emozione che le foto possono solo suggerire, ma non possono tramettere! Poi la luce del giorno che arriva e giù giù, a valle, le luci dei paesi ancora al buio. Continuiamo a salire, si sente l’aria sottile che pompa poco ossigeno, si sente soprattutto perché le gambe fanno proprio “un passo alla volta”. Nel frattempo, giunti a circa 4700 sulla cresta delle Bosses, dove godiamo di una vista stupenda,  la vetta si chiude con un po’ di nuvole, sottili. Non importa, conto un passo alla volta, quasi fosse un mantra, per resistere, … uno due tre … uno due e tre … uno due e tre e arriviamo in vetta! Sono le 6,30 e sono a 4810 metri, sulla vetta del Monte Bianco. La gioia è enorme, una miscela di emozioni incredibili che ogni tanto rivivo guardando il breve filmato che ho fatto. Purtroppo dalle sottili nuvole traspare un tiepido sole, ma non si vede il panorama a valle; ho un pelo di rammarico ma, non importa, oggi ho visto veramente tanta roba.  Il Bianco non è più solo un sogno, ma una conquista. Per me è anche la dimostrazione che quando si vuole, si può. Però, … però, quel piccolo tarlo del panorama non visto in vetta, rimane e rode. Si dice “non c’è due senza tre”. Ho almeno un altro tentativo da concedermi. Nel frattempo con Andrea aderisco ad altre uscite, perché io ho la fissa della Vetta più alta, ma ci sono tantissime altre vette, occasioni e modi di vivere le emozioni e la montagna. Dunque arriviamo al 2019 è l’anno del terzo tentativo. Mando un messaggio ad Andrea, chiedendo la sua disponibilità, lui risponde di si e aggiunge: “questa volta facciamo la “Via dei tre monti”. Io sono entusiasta ma mi chiedo se sarò all’altezza. Si tratta di una via molto bella e alpinisticamente un po’ impegnativa. Ma se lo propone Andrea sono tranquillo. Mi alleno, ogni volta che il lavoro lo consente, cammino o corro e mentre lo faccio immagino la salita. Siamo d’accordo che sarà fra fine luglio e agosto. Per caso sappiamo che saremo entrambi in Val di Fassa la terza settimana di luglio, siamo d’accordo di vederci per una birra, ma approfitto e gli chiedo se mi fa fare le torri del Vajolet, acconsente. Nel giorno stabilito prima mi fa salire la torre Delago, il famoso spigolo Piaz e poi la Winkler; la Stabler l’avevo già fatta alcuni anni fa. Anche qui, per me che non arrampico, una enorme soddisfazione ed emozione. Siamo a tiro e Andrea mi dice che per effetto del caldo ci sono problemi di crolli sulla “Via dei tre Monti”, mi chiede se non fossi interessato ad alternative; Io lo so che ci sarebbero tante altre vette, ma io devo fare il terzo tentativo. Andrea comprende la mia determinazione e mi propone di salire al Bianco per la Via italiana pernottando al rifugio Gonella, per poi scendere dalla via francese. Ne avevo letto di questa “Via”, ma non l’avevo mai considerata, perché sapevo che era molto dura. In altre Vie si parte già in quota, qui invece dai 1600 metri della Val Veny, a Courmayeur, e si fanno oltre 3000 metri di dislivello, con uno sviluppo fra andare e tornare di quasi 30 km in due giorni e con lo zaino che non puoi alleggerire come quanto torni allo stesso rifugio. Volere è potere, e posso dire nei giorni 31 luglio e 1 Agosto di avere raggiunto la vetta del Monte Bianco e nel tragitto di altri due 4000, il Piton des italiens 4002 mt, e il Dôme du Goûter 4304 mt . Alcuni dettagli della salita possono rendere meglio l’dea di questa “avventura”. Il 31 luglio, giorno di arrivo, circa 6 ore di camminata lungo tutta la lingua glaciale del Miage,  fra pietre, ghiaccio nascosto, ghiaccio affiorante, crepacci, panorami superbì e selvaggi. Qua e là qualche stambecco a ricordarci che “Noi” eravamo forestieri. Gambe durissime e riposo nel bello e accogliente rifugio Gonella, a 3071 metri, con un bel tramonto sulla vetta del Bianco e con sullo sfondo della lingua glaciale, il Gran Paradiso. Sveglia a mezzanotte, colazione e partenza all’una per fare 1800 metri di dislivello con tanta speranza che il meteo mantenga le ottime promesse. Non ci hanno fermato alcuni intoppi presenti sulla Via, in particolare una breve parete con ghiaccio molto duro, dove ramponi e piccozza erano ai limiti e dove il giorno precedente alcune cordate avevando desistito. Un passaggio critico anche perché da cercare e trovare poco dopo la partenza e quindi al buio. Ma Andrea mi ha fatto superare questo “ostacolo” in tranquillità. Siamo passati “sempre al buio” e con le pile frontali a formare ombre inquietanti, per i crepacci enormi del ghiacciaio del Dôme e poi lungo la cresta affilatissima del Bionassay. Solo ora, guardando alcune foto che il mio dito “scattante” ha fatto, mi rendo conto  di quello che abbiamo fatto. Per quanto mi riguarda non mi ha fermato una modesta ma fastidiosa influenza, che ho fatto finta, anche con me stesso, di non avere per non rovinare la mia avventura, e che mi ha complicato un po’ la respirazione e poi con il freddo in vetta, mi ha congelato naso e gola. Non mi ha fermato un pesto alla caviglia, dovuto ad uno stupido mio errore nella gestione dei calzini. Mentre salivo mi ripetevo come avessi fatto a fare una pataccata del genere, e nello stesso tempo cercavo di convincermi che non sentivo male, ma solo, tanta, tantissima fatica, mentre invece sentivo anche il male, e cavolo che male. Poi il piede era diventato gelido, sempre per quel cavolo di calzino sbagliato. Ma come ripeto, la motivazione fortissima, la determinazione molto intensa, la vista di quei luoghi, la magia di quella natura, le luci, il freddo, la presenza rassicurante di Andrea, ebbene, l’idea di mollare non ha mai vinto e sono arrivato in vetta, alle 7,35, dopo quasi 7 ore di salita. Su ci saranno stati 8-9 gradi sotto zero, e vento, ma era sereno, era magia, era una panorama superbo, che ti apre il cuore. Alle 8 abbiamo iniziato la discesa, siamo rimasti su, 25 minuti toccando il cielo con un dito. Non aggiungerò i dettagli di una discesa con un male boia alla caviglia, che solo al rifugio  Goûter, mi sono accorto che dipendeva da quel cavolo di calzino che era messo male. Una discesa “rapida” che è stata una corsa contro il tempo, perché con i mezzi pubblici da Chamonix, dovevamo tornare a Courmayeur, dove avevamo lasciato l’auto e alle 17 c’era l’ultima corsa del bus. Nel mio personale diario di questo “Bianco”, mi piace dire che persone comuni come sono certamente io, quando motivate, preparate e accompagnate da persona esperta con la quale c’è feeling, possono realizzare alcuni sogni importanti, e non potranno essere calzini, o male ai piedi e neppure il naso che ti cola a fermarti. Il mio Bianco è una boccata di ossigeno purissima, mentre calpesto neve e ghiaccio a 4800 metri, guardando uno scenario fantastico, con la mente letteralmente in volo, lassù, così in alto!